martedì 11 dicembre 2018

Bellini

Bellini



Il Bellini è composto da ingredienti tipici del Veneto: prosecco, succo e polpa di pesca bianca, prodotta nel veronese. È un drink, fresco e fruttato, adatto a tutte le ore.

Attualmente ne esistono numerose varianti, molte delle quali stagionali:

Bellini
Bellini Royale, che usa lo champagne al posto del prosecco, anche se il gusto deciso dello champagne non si abbina perfettamente al gusto delicato della pesca bianca
Bellini analcolico, che usa la soda al posto del prosecco
Bellini già confezionato, in vendita anche nei supermercati
Mimosa, con succo di arancia anziché di pesca
Tiziano, con succo di uva fragola
Puccini, con succo e polpa di mandarino
Rossini, con succo e polpa di fragole
Tintoretto, con succo di melograno

Caratteristiche del Bellini
Tipo di cocktail: any time, short drink, sparkling cocktail.

Grado alcolico: 8,4° alcolici.

Ricetta IBA del Bellini
10,5 cl prosecco o spumante extra dry
4,5 cl succo di pesca
mezza pesca fresca preferibilmente bianca (in stagione)

Si pesta la pesca e si versa direttamente nel flûte, senza frullarla, si aggiunge il succo di pesca e poi il prosecco, miscelando leggermente con un bar spoon. In alternativa si può usare una coppetta da cocktail. 
Si consiglia l’uso di un prosecco o di uno spumante extra dry dal gusto più morbido e meno pungente, per rispettare la delicatezza del cocktail.

Fonte: QUI

sabato 10 novembre 2018

Bacardi

Bacardi

Tipo di cocktail: after dinner, short drink


Grado alcolico: 20°alcolici:

Categoria alcolica: molto alcolico

Ricetta IBA del Bacardi cocktail
4,5 cl di rum Bacardi bianco
2 cl di succo di limone o lime (il limone è sempre sostituito dal lime nei paesi caraibici)
0,5 cl sciroppo di granatina
Versare nello shaker nell’ordine: succo di limone, sciroppo di granatina e rum. Shakerare tutti gli ingredienti e filtrare in una coppetta da cocktail ben fredda.

Fonte: QUI

mercoledì 10 ottobre 2018

Bollito misto

Bollito misto

Ingredienti per 4 persone

200 g di scaramella o cartella di manzo
200 g di tenerone o reale di manzo
200 g di testina di vitello
200 g di coda di bue
200 g di lingua di vitello
1/2 gallina o cappone
4 carote
4 cipolle
4 coste di sedano
40 g di erbe aromatiche (prezzemolo, rosmarino, salvia, alloro...)
2 l d'acqua
sale e pepe q.b.

Preparazione

In una pentola versare un litro di acqua fredda, aggiungere la cipolla, la carota e il sedano (puliti e lavati), il sale grosso e 10 g di erbe aromatiche. Portare l'acqua ad ebollizione e quindi unire la scaramella, il tenerone e la coda di bue. Cuocere per almeno 2 ore, fino a quando non saranno teneri.

Ripetere la stessa operazione per gli altri pezzi di carne che dovranno essere bolliti separatamente con le verdure e gli aromi: in una pentola la lingua, in un'altra la gallina (o il cappone) e in un'altra ancora la testina. La cottura è di 2 ore per ogni pezzo di carne, tranne che per la gallina che impiega meno tempo, circa un'ora e mezza.

Nel momento in cui un pezzo di carne sarà pronto tenerlo in caldo a bagnomaria, quando tutti i tagli saranno cotti metterli in un grande piatto da portata e servirli in tavola accompagnati dalle salse e dai contorni di verdura.

Fonte: QUI

martedì 4 settembre 2018

Anatra alla pechinese

Anatra alla pechinese

L'anatra viene macellata con 24-48 ore di anticipo prima di cucinarla (ecco perchè spesso nei ristoranti cinesi viene richiesto di ordinarla con un preavviso di 24 ore). Viene spennata, eviscerata, lavata e poi le viene pompata aria dal collo per separare la pelle dal grasso, quindi viene bollita brevemente e appesa ad asciugare per un giorno intero. Mentre è appesa ad asciugare viene laccata, ossia spennellata con uno sciroppo di maltosio o con la salsa hoisin.


L'anatra viene poi cotta in forno, tradizionalmente veniva appesa intera all'interno di questi forni tradizionali cinesi di mattoni alimentati bruciando paglia. La cottura avviene molto lentamente a temperature molto alte (circa 270°C) per 40 minuti circa, fino a che la pelle esterna non diventa di un bel marrone lucido e croccante.

Una volta cotta, l'anatra alla pechinese viene portata al tavolo dei commensali intera e tagliata dal cuoco davanti a tutti: la pelle viene servita a parte con una salsa di aglio e zucchero, la carne, invece, viene tagliata a fettine sottili e consumata all'interno di alcune frittelle sottili simili a delle crepes con le verdure crude o sott'aceto come fossero panini. Le parti restanti (ossa, grasso, altra carne) possono essere portate a casa dai clienti per preparare il brodo o del macinato.

Fonte: QUI

venerdì 13 luglio 2018

Biscotti Savoiardi


Ingredienti per 4 persone 
400 gr Farina
350 gr Zucchero
16 Uova
100 gr Zucchero a Velo
1 Pizzico Sale

Dividete i tuorli dagli albumi e sbattete i tuorli con lo zucchero fino ad ottenere una crema spumosa e bianca.
A questa aggiungete piano piano la farina e fatela incorporare.
Intanto battete solo otto degli albumi con un pizzico di sale ed incorporateli, poi, al resto dell'impasto.
Mettetelo nella siringa da pasticciere, col beccuccio più grande, e premete sulla placca infarinata delle strisce lunghe 8-9 centimetri.
Spolveratele abbondantemente con altro zucchero a velo ed infornate a calore moderato per 20-30 minuti.

Fonte QUI


giovedì 14 giugno 2018

Sgombri con fave


INGREDIENTI PREPARAZIONE
filetti di sgombro 480 gr
fave fresche sgranate 100 gr
olio extravergine di oliva 60 gr
basilico -
aglio -
peperoncino -
sale -
pepe in grani -
Per la ricetta degli sgombri al vapore con fave, scottate le fave e sbucciatele. Tagliate a fi lettini una decina di foglie di basilico e mettetele in infusione nell’olio con un pizzico di sale, una macinata di pepe, un pezzettodi peperoncino tritato, uno spicchio di aglio schiacciato e le fave. Lasciate in infusione almeno mezz’ora, poi eliminate l’aglio. Cuocete a vapore i filetti di sgombro, tagliati in due, e serviteli conditi con l’olio alle fave.

Gli sgombri sono ricchissimi di omega 3, che li rende particolarmente indicati nelle diete cardioprotettive. La cottura al vapore esalta al massimole loro prerogative che qui si sposano a quelle delle fave, ricche di fibra e proteine vegetali. Dato l’apporto calorico signifi cativo di questo piatto, lo si potrebbe far precedereda un leggero minestrone di verdura.

Fonte: QUI

giovedì 10 maggio 2018

Austerlitz



Nacht und Nebel. Notte e nebbia. L’operazione di annientamento attraverso l’internamento nei campi di concentramento diede anche il titolo al memorabile documentario che Alain Resnais realizzò nel 1956. Che cosa è rimasto da raccontare, anche cinematograficamente parlando, 60 anni dopo quell’incredibile sguardo sull’Olocausto?

Sergei Loznitsa è un cineasta che proprio intorno alla struttura dello sguardo cinematografico continua a regalare opere di straordinaria potenza: a parte le parentesi di “finzione” con My Joy e In the Fog (oltre all’episodio Reflexions per il collettivo I ponti di Sarajevo), con Maidan (2014) e The Event (2015) filmò rispettivamente la recente rivoluzione ucraina e ci riportò ai giorni del golpe russo del 1991. Questa volta, partendo probabilmente da altre premesse (il titolo, Austerlitz, si rifà volutamente all’omonimo di W.G. Sebald, ed. Adelphi), si è ritrovato ad osservare come lo sguardo del presente finisca per rimanere indifferente di fronte alle tragedie della Storia.

Sì, perché se è vero che il professore di architettura che dava il cognome al titolo dell’opera di Sebald studiava quegli edifici che, “soprattutto nell’Ottocento, tendevano ad assumere forme involontariamente visionarie, sovraccarichi com’erano di significati simbolici”, Loznitsa finisce invece per immortalare – attraverso l’utilizzo della camera fissa – lo svuotamento di senso che, ai giorni nostri, caratterizza un luogo come il campo di concentramento. Che nel corso dei decenni si è trasformato da custode di indicibili orrori a meta turistica di massa: ARBEIT MACHT FREI, allora, diventa l’equivalente di un BENVENUTI A DISNEYLAND, “cartello” di fronte al quale scattarsi foto ricordo in mezzo al continuo via vai di visitatori, dove il rumore del passaggio, il chiacchiericcio della quotidianità, inquinano il silenzio della memoria.

Dapprima quasi appostata (timidamente) dietro al fogliame di un albero, la macchina da presa di Loznitsa non interferisce in nessun modo con la giornata tipo di questi luoghi “della memoria”, come a Sachsenhausen (che su TripAdvisor ha 4 stelle e mezza…), ma ne porta in superficie la tragica contraddizione: famiglie con bimbi (o cani) nel passeggino, adolescenti con magliette a dir poco antitetiche (“Cool Story Bro!”…), adulti con magliette profetiche (“Jurassic Park”…), smartphone e dispositivi per l’audioguida che si confondono alla vista, guide che con disinvoltura passano dal racconto dettagliato della morte sotto le “docce” o nei forni crematori al “se ci sbrighiamo abbiamo più tempo per mangiare”, gli orrori della storia diventano un qualcosa da immortalare per poter dire “Io c’ero! (per fortuna dopo…)”, condividendone magari sui vari social anche il lato “sdrammatizzante” (il tizio che si fa fotografare assumendo l’ipotetica posa di chi, all’epoca, veniva torturato dai nazisti).

“L’idea di fare questo film mi è venuta perché visitando questi luoghi ho sentito subito una sensazione sgradevole nel mio essere lì. Sentivo, come dire, che la mia presenza non fosse etica in posti simili”, spiega Loznitsa, che avrebbe voluto capire attraverso il “volto delle persone come ciò che guardavano si riflettesse sul loro stato d’animo. Ma non nascondo di esserne rimasto abbastanza perplesso”.

L’immagine etica e quella superflua: è anche, forse soprattutto, un film che vuole ragionare su questo aspetto, Austerlitz: quel che è certo, è che Loznitsa ci ricorda quanto il nostro rapportarci alla Storia, il modo in cui assimiliamo, “capiamo”, sia ormai viziato e massivamente distante da qualsiasi tentativo di riflessione.  E, per farlo, lascia parlare le inquadrature fisse, che rimangono libere nello spazio incidentalmente occupato dall'”uomo”.
Un film importantissimo, tra i più lucidi e al tempo stesso devastanti sulla tragedia della Shoah.

Fonte: QUI

mercoledì 4 aprile 2018

Gnocchi di semolino e ceci con ragù di agnello


INGREDIENTI PREPARAZIONE
latte parzialmente scremato 500 gr
carne trita di agnello 300 gr
semolino 100 gr
cipolla rossa 100 gr
vino rosso 100 gr
grana 40 gr
olio extravergine di oliva 30 gr
farina di ceci 20 gr
timo -
sale -
noce moscata -
Per la ricetta degli gnocchi di semolino e ceci con ragù di agnello, rosolate la carne in una padella con 20 g di olio e la cipolla tritata per 3-4′, sfumate con il vino, bagnate con un mestolo di acqua e profumate con un rametto di timo. Coprite e cuocete per circa 1 ora, unendo ogni tanto un po’ di acqua (ragù). Scaldate il latte con un pizzico di sale.

Al bollore, versate le farine mescolando; cuocete per 2-3′, ottenendo una polentina. Aggiungete, fuori dal fuoco, il grana grattugiato e un pizzico di noce moscata; versate la polentina su un foglio di pellicola e chiudetelo a salame. Lasciatela in frigo per 30′; tagliatela a fette (gnocchi). Ungete di olio gli gnocchi e arrostiteli in padella. Serviteli con il ragù e timo.

Fonte:QUI